Moda ecosostenibile e fair trade: esistono davvero?

By intothepot, 12/14/2019

Iniziamo subito con una domanda: l’alternativa ad un abbigliamento fatto di sfruttamento umano ed inquinamento è davvero un vestito che costa 190€?

La moda ecosostenibile è un business come tutti gli altri, con una propria fetta di mercato, un target ben preciso e studiato con una mission comune a tutte le aziende: fatturare, o meglio, guadagnare il più possibile. Ecco spiegato il perché delle cifre che vi ritrovereste a leggere se voleste ricercare prezzi di abiti ed accessori vari che si vantino di essere ecosostenibili e di provenire da filiere etiche.

Da compratrice, vorrei pubblicata la “carta canta” a sostegno delle affermazioni che l’azienda di turno mi abbia proclamato per vendermi il vestito a 200€ (si si, sono questi i prezzi citati poc’anzi). Non metto in dubbio che H&M mi venda la felpa a 15€, perché discende da una filiera di sfruttamento vergognoso delle popolazioni più povere, ma con quanta sicurezza possiamo affermare che l’azienda eco-friendly non faccia lo stesso? Ho qualche foglio scritto che mi possa togliere i dubbi? Posso avere pubblicate le fatture che dovranno essere necessariamente state emesse a favore dell’azienda cinese, indiana o pakistana per la raccolta del cotone, il lavoro di sartoria o la fornitura di materia prima? E il trasporto? Perché produrre così lontano da dove si vuole vendere? La globalizzazione non è una scelta tanto ecosostenibile, oppure il sostenibile per l’ambiente finisce quando iniziano i guadagni? Mi sono, per esempio, imbattuta in aziende di imprenditori italiani, residenti in USA, che producono in India e vendono in Italia, facendo della ecosostenibilità il proprio capo saldo.

L’arma di vendita è la sponsorizzazione dell’etica aziendale? Se quest’ultima, però, non è dimostrabile, si chiama marketing.

Siamo arrivati al punto di dire che sia utopia voler sapere se quell’indiano che raccoglie il cotone sia stato pagato per vivere dignitosamente? E se sì, mostratemi la carta. Troppo facile affermare qualcosa di cui non si può dare prova. E perché io che sono il compratore di quel prodotto non posso conoscere, almeno approssimativamente, le persone che me lo hanno portato fino al negozio o a casa? Non basta dire “noi siamo ecosostenibili” o “la nostra etica aziendale” per esserlo o averla davvero.

La presa di coscienza avverrà da una parte della popolazione (la più intelligente) quando e se ci sarà un aumento delle condizioni di vita. In Italia, il ministero del lavoro permette una paga al di sotto dei 6€ orari. Si sputa sopra le vite di persone che lavorano (aka sfruttate) appartenenti alle classi inferiori.

Perdonatemi l’uso del termine “classe”, purtroppo ci sono ancora discriminazioni in base alla classe socioeconomica di appartenenza, soprattutto per quanto riguarda la retribuzione economica sul luogo di lavoro.

Questo articolo, post, sfogo pomeridiano, definitelo come volete, cari lettori, sta diventando un guazzabuglio! Ma a volte dal disordine può uscire un concetto chiaro.

Se la maggior parte delle persone non hanno accesso a quell’ipotetico vestito ecosostenibile, quel sempre ipotetico abito resterà solo un capriccio per radical chic.

Perché spostare la produzione o parte di essa in un altro Paese?

E’ accettabile moralmente assumere dipendenti dall’altra parte del mondo, per trarre vantaggio e ridurre così i costi di produzione, retribuendo poco i lavoratori? Od anche rifornirsi di materia prima estera perché chiaramente svalutata economicamente?

La Cina, ad esempio, permette A NORMA DI LEGGE un vero e proprio sfruttamento umano, non offrendo garanzie ed uno stipendio adeguato per la manodopera in fabbrica, per gli artigiani ed i lavoratori agricoli; approfittando quindi di tali situazioni di evidente disagio economico sociale, la famigerata azienda di turno sposta la produzione e successivamente sceglie di connettersi con i consumatori, servendosi di una tecnica di vendita basata su parole quali “fair trade”, “ecosostenibile” e così via.

Attenzione: la manodopera, l’artigiano ed il lavoratore agricolo sono sfruttati anche in Italia A NORMA DI LEGGE, tanto per essere chiari (come già citato sopra). Pensiate, quindi, al livello di abuso e sopraffazione che si possa facilmente generare in quei Paesi dove regnano governi profanatori dei più importanti diritti umani: il rispetto della persona e la dignità di vivere una vita felice. Il Presidente non vale e non varrà mai di più di un operaio. Anzi!

 

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